tradimenti
Patrizia mi dona il culo vergine
di StraneEmozioni
17.08.2024 |
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"Ero direttore e amministratore di una importantissima azienda e avevo deciso di lanciare una nuova attività..."
Patrizia ha 17 anni meno di me. Oggi è felicemente sposata ed ha due bellissimi bambini.Quando l’ho assunta aveva 27 anni ed io, appunto, 44. Ero direttore e amministratore di una importantissima azienda e avevo deciso di lanciare una nuova attività.
Mi servivano giovani, laureate in marketing e comunicazione, belle. Belle perché avrebbero venduto, e poi le belle costano tanto quanto le brutte.
A Patrizia si unirono altre ragazze nel tempo, altre sette, ed un paio di ragazzi.
Alcuni di loro partirono per una fiera di settore a Monaco di Baviera, dove l’ultima sera era prevista una cena di Gala durante la quale io dovevo tenere un discorso.
Arrivai a Monaco con un volo privato da Roma. Patrizia mi accompagnò, lei era la mia assistente per il progetto e doveva, in queste occasioni, essermi accanto. Si presentò all’aeroporto di Ciampino, da dove il jet privato sarebbe decollato, accompagnata dal fidanzato, un ragazzo magrolino e nervosetto. Stavo appunto scendendo dall’audi A8 che mi aveva accompagnato, l’autista mi aprì lo sportello e subito andò sul retro per prendere il mini trolley dal bagagliaio, quando vidi, in cima alle scalette dell’aeroporto, Patrizia. Ci davamo del lei, o meglio, lei mi chiamava dottore ed io le davo del tu, come spesso è normale che accada per una serie di fattori che chi ha vissuto la mia condizione professionale comprende.
Era bellissima! Si era messa in tiro, ma con eleganza: tacco 12, pantaloni neri a palloncino, una camicia bianca con un fiocco, occhiali da sole da star. Alta appena 1,55, non che io sia una torre, tutt’altro anzi, vista dalla base delle scale sembrava un gioiello di donna.
Accanto a lei questo ragazzo, che poi lasciò, che proveniva da una epoca vicina ma ormai lontana ere geologiche dalla Patrizia che aveva iniziato questa esperienza di vita e di lavoro con me. Si sarebbero lasciati presto.
La ragazza era particolarmente eccitata per il complesso di ciò che stava accadendo: accoglienza VIP in aeroporto, accompagnati in auto al jet, solo tre persone sul volo oltre i due piloti ed una hostess tedesca.
Per Patrizia fu una serie di prime volte in meno di due ore: primo volo privato, primo champagne in coppa di cristallo, prima telefonata satellitare in volo.
Seduta davanti a me, mentre controllavamo il mio discorso e apportavamo dei ritocchi insieme alla mia assistente, guardò fuori dall’oblò mentre passavamo sulle alpi. Eravamo diretti a nord e il sole al tramonto era alla nostra destra: la luce arancione le illuminò il volto sorridente, i lineamenti delicati, facendo luce sulla sua gioia, sull’entusiasmo di una giovane ragazza decisa a farsi una vita decente.
“Guardi che spettacolo dottore, guardi quanta bellezza”, mi disse guardando la catena di montagne innevate sotto di noi colorate di rosso.
Guardò verso di me perché non risposi al suo invito, ero rapito dalla bellezza del suo entusiasmo, dalla sua grazia. Sorridevo, mi disse poi, ed è quello il momento al quale Patrizia fa risalire l’aver compreso di essere fregata, di avere una cotta che le sarebbe durata anni, per il “grande capo”.
Atterrati a Monaco ci recammo in hotel. Quinto e terzo piano le nostre stanze. Io scesi per primo, lei continuò verso il quinto. Quando guardai la chiave, numero 512, capii che ero io a dover salire. Tornai indietro e chiamai l’ascensore. Le porte si aprirono e Patrizia quasi mi investì, era scesa realizzando anche lei l’errore. La trattenni per evitare lo scontro, lei alzò lo sguardo. Baciarci fu un attimo, un fulmine. Un bacio vero, appassionato, lungo, senza dirci nulla.
Mi trascinò in camera sua e chiusa la porta mi aprì i pantaloni e si avventò sul mio cazzo. Lo stringeva forte alla base e se lo lavorava solo sulla parte alta, senza infilarselo tutto dentro. Capii che era esperta abbastanza da volerlo far diventare duro abbastanza da farsi penetrare. Non era un pompino per me, era finalizzato al suo obiettivo. Se ne stava in piedi con quei tacchi alti, piegata a novanta gradi, standomi lateralmente. La sua coda svolazzava mentre si muoveva, più che un pompino era un grande succhiotto piacevole. Quando fu abbastanza duro mi lanciò letteralmente sul letto, sfilò rapidamente scarpe e pantaloni e mi saltò sul cazzo cavalcandomi con una foga da giovanissima, come se stesse facendo un esercizio in palestra. Si tava prendendo, mi cknfesso dopo, quello che desiderava da settimane, quando seduta nel mio ufficio spesso con altri, si bagnava vendendomi esercitare il comando da leader. Mi sbattette talmente forte con la sua fica stretta e aderente che venni senza controllo, riempiendola mentre lei, delusa, esclamava un “noooo”.
Ci separammo per rivederci, confusi e felici, alla reception appena mezz’ora dopo.
“Andrà meglio stasera “, le sussurrai.
Lei mi prese la mano sul retro del taxi, mi tirò a se e mi baciò.
Vale la pena menzionare un episodio. Proprio in quel momento il tassista, un arabo, guardando dallo specchietto ci redarguì perché facevamo una cosa a suo dire disdicevole: “Non monsieur, vous ne pouvez pas faire ça dans mon taxi".
Ho vissuto nei paesi musulmani imparando a disprezzare questi atteggiamenti bigotti e retrogradi, e conoscendo il disprezzo che questi omuncoli hanno per le donne, ero certo che nella sua testa malata stesse considerando Patrizia una puttana.
“Pensez à conduire et regardez devant vous, si vous n'êtes pas encore habitué à la liberté des gens, retournez à votre mosquée pour prier.” (Pensi a guidare e a guardare avanti, se non si è ancora abituato alla libertà delle persone se ne torni alla sua moschea a pregare).
Vedendo che parlavo francese si sorprese e disse in arabo fra se e se “allaenat ealayk waealaa eahirat alkhasi bik”, (maledetti tu e la tua puttana).
Gli risposi nella sua lingua “fermati, figlio di un cane”.
Tirai un cazzotto sul suo poggiatesta, imponendogli di accostare dove avevo visto esserci una pattuglia della gendarmerie.
Accostati ci fu un diverbio, alla fine uno degli agenti, una signora sui trentacinque ben piazzata, nervosetta, improvvisamente estrasse il manganello e glielo piantò di punta nel costato, con forza. Gli impose di scusarsi con Patrizia e poi si fece dare i suoi dati. Mi dedicai con attenzione a sporgere denuncia lasciando i miei dati, prima di fermare un altro taxi.
Tornati in Italia, ebbi scarso successo nel cercare di controllare l’entusiasmo di Patrizia: la mattina spesso trovavo un fiore sulla scrivania, ricevetti migliaia di messaggi, fino a quando dovetti silenziarla sul telefono per non avere problemi.
Prese casa da sola per poterci vedere più agevolmente. Il sesso era banale; lei è una bambola, ma lo schema era sempre lo stesso: pompino, cavalcata.
Mi imposi. Una sera, in ufficio, venne per sedurmi. La portai due uffici più in la, nel mio poteva cercarmi qualcuno. La feci poggiare con le mani sulla scrivania di una contabile, le alzai la gonna e mi inginocchiai.
Al tocco della mia lingua sul suo buco del culo trasalì e cercò di voltarsi. La trattenni e sentii che il buco era amaro e strettissimo, completamente vergine.
Infilandole due dita nella fichetta umida continuai e stuzzicarla sull’ano, cosa che lei apprezzò. Leccare il culo alle belle donne è il mio marchio di fabbrica. Nemmeno la punta della mia lingua riuscivo a far entrare. Il mio obiettivo era chiaro: dovevo sverginare anche questo culo.
Patrizia imparò in fretta la seduzione di un uomo ultra quarantenne: autoreggenti per sesso improvviso, lunghe sedute sulla faccia, pompini bagnati, leccare palle e culo, non solo il glande.
Poi, un giorno mi fece un invito speciale a casa sua.
Arrivando, socchiuse lo stipite della porta inviandomi ad entrare. Dietro di essa, Patrizia mi aspettava completamente nuda, con indosso solo autoreggenti bianche a rete e tacchi alti neri.
“Ti ho invitato qui perché voglio che mi apri il culo”.
Mi infilai nella doccia con il cazzo duro. Una donna innamorata farebbe di tutto, certamente.
Erano settimane che le insegnavo i piaceri del sesso anale: lunghe leccate, poi un dito ben piantato dentro mentre le succhiavo la clitoride, oppure il pollice tutto dentro mentre la scopavo in ginocchio.
“Non vuoi che il tuo fidanzatino sia il primo?”, la presi in giro.
“Quando inizia a parlarmi della tesi che sta scrivendo mi si secca la fica, figurarsi il culo”.
Il culetto da ventisettenne, le gambe corte ma perfette, i capelli legati “per non sporcarli”, erano un quadretto incredibile. Si mise in piedi davanti alla cucina per versarmi del vino.
Le andai dietro e standole accanto le divaricai le natiche, sode. Fu una provocazione che la scosse, facendole inarcare il sedere e allargare le gambe in equilibrio sui tacchi. Le infilai quattro dita in bocca imponendole di bagnarle.
“Dammi la tua saliva, devo bagnarti il culo”.
La passai intorno al buco, ci infilai l’indice e lo assaporai portandolo alla bocca.
“Mmm.. è buono, sei pulita”.
“Si… mi sono pulita tutta”.
Il secondo assaggio fu per lei.
“Senti il tuo sapore”.
La sua fichetta grondava.
“Pulisci bene, devo infilarla nella fica.”
Le allargai la vagina con le dita quanto bastava per entrarci con il cazzo senza doverla leccare. Inutile perdere tempo con atteggiamenti di accondiscendenza, l’esperienza anale è un atto di dominazione dell’altro. Un gesto altruista diminuisce la sensazione di essere posseduti, presi contro la propria volontà.
La scopai li in piedi quanto bastava per caricarla e agevolare il suo primo orgasmo anale, ma anche per avere umori vaginali sufficienti e bagnarle l’ano con due dita, e la accompagnai verso il divano.
A gambe sollevate, schiena sul bracciolo largo del divano, le infilai indice e medio, paralleli, nel buco stretto. Ancora in bocca a lei per avere saliva, che si aggiungeva alla mia che sputavo sul buco. Patrizia aveva gli occhi sbarrati per l’eccitazione.
“Sei maschio,tu”.
Le puntai il glande contro il buco, dopo averla costretta a cospargermi tutto il cazzo di saliva: “Non ingoiarla, spargila sul cazzo per bene, spalmala”.
Tenendola in quella posizione le regalai la magia del senso di possesso, afferrandola delicatamente per la gola; mi piegai portando il mio viso vicino al suo: “Apri la bocca”.
Mentre lei guardava la mia saliva scendere lentamente dalla mia alla sua bocca spalancata, spinsi dentro. Superai facilmente l’ostacolo dello sfintere che cedette subito.
Seguii la mia saliva mettendole la lingua in bocca: “devi guardarmi negli occhi mentre godi con il mio cazzo nel culo”.
“Porco, padrone”.
Spinsi dolcemente fino alla base del mio cazzo. Non bisogna stantuffare, il culo va aperto fino in fondo sfruttando la larghezza del pene. Il piacere è nella sensazione di pienezza, nella trasgressione dell’atto, nel tabù violato. Non si gode dello sfregamento, ma bensì nel sapere di contravvenire alla morale.
“Toccati”, le ordinai. “Toccati come quando mi pensi a letto”.
Patrizia schiaffeggiò la clitoride e poi affondò tre dita nella figa.
Le sputai sui capezzoli per umiliarla e aumentare il suo piacere.
Piano estrassi il mio cazzo, notando una scia di sangue fresco. Prima di far uscire il glande riaffondai tutto il cazzo dentro e presi a muovermi lentamente.
“Ora ti verrò nel culo, voglio che ti concentri sul calore che sentirai per la prima volta, che ricordi come stai godendo. Sei pronta a venire”.
“Si, si”.
Strinsi la mano sulla sua gola, lei si piego con la testa in avanti per godersi lo spettacolo, le tre dita infilate nella figa ed il mio cazzo sporco di sangue e di marrone che, largo e tozzo, la rendeva donna completa.
L’orgasmo anale giunse potente, mi piantai in fondo per svuotarmi più in cima possibile, lei si scuoteva impetuosa proferendo oscenità mentre le stringevo la gola.
La mia Patrizia ha scelto un ragazzo con il mio stesso nome come marito. Quando è a Roma per salutare la sua famiglia, ripassiamo la lezione anale e le do validi consigli da genitore.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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